La caduta di "Malefix": Giorgino De Stefano passa dalla movida milanese al carcere

giorgettosilviaprovvedidi Claudio Cordova - Di "Giorgino" De Stefano Il Dispaccio si era occupato già un anno e mezzo fa, quando i fatti emersi con l'inchiesta "Malefix" erano ancora da svolgersi (leggi qui). Il rampollo della cosca De Stefano, emigrato a Milano a fare affari e bella vita avrebbe avuto un ruolo importante nel tentativo di dirimere i contrasti tra il suo casato di 'ndrangheta e il nucleo di Gino Molinetti. E' Giorgino a incontrare, il 25 agosto 2019, Alfonso Molinetti, fratello di Gino.

De Stefano e Molinetti non si erano mai incontrati personalmente. L'argomento da affrontare è importante, per questo Giorgino De Stefano, accompagnato dal sodale Antonio Randisi, usano delle precauzioni. Il 24 agosto, dopo aver lasciato cautelativamente i propri telefoni a Napoli, si erano portati nuovamente a Reggio Calabria con un'autovettura, per poi fare ritorno a Napoli nella stessa serata. A Reggio Calabria, Giorgio De Stefano aveva incontrato il fratello Carmine, del quale nella circostanza era il portavoce.

Il capo della 'ndrina, infatti - essendo impossibilitato a recarsi in Campania perché sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno – inviava, per il tramite del fratello Giorgio, saluti affettuosi all'anziano Molinetti.

La conversazione, principale elemento che ha portato all'arresto del giovane De Stefano, è captata tramite uno spyware inoculato sul cellulare di Molinetti.

Prima di mettersi a tavola, i dialoganti venivano al dunque, confrontandosi sui dissidi reggini tra Gino Molinetti e Carmine De Stefano. Era Alfonso Molinetti ad introdurre l'argomento, chiedendo a Giorgino più dettagliate notizie sul fratello Carmine e ricevendo conferma dell'amarezza di quest'ultimo per la situazione venutasi a creare [MOLINETTI ALFONSO: E Carmine che fa?... non mi racconti niente di tuo fratello... DE STEFANO GIORGIO: Tutto a posto... nel senso... che vi devo raccontare... eh... MOLINETTI ALFONSO: Con mio fratello?... (...) DE STEFANO GIORGIO: E' un po' amareggiato di questa situazione... mi ha detto...].

I due dimostrano di conoscere le dinamiche di 'ndrangheta, consapevoli che il vero terreno di scontro era pertinente al controllo del territorio nella zona di Gallico. Giorgio De Stefano aggiungeva alcuni importanti particolari: per risolvere l'accesa disputa, Carmine De Stefano aveva dapprima interpellato uno degli anziani colonnelli della cosca, Totuccio Serio, il quale – a sua volta – si era recato da Gino Molinetti per verificare se vi fossero margini per un incontro chiarificatore. Questi – pur asserendo di non avere motivi di risentimento nei confronti di Carmine De Stefano – aveva restituito al mittente la richiesta di un summit pacificatore, così di fatto esplicitando la sua volontà di rendersi autonomo rispetto alla storica 'ndrina di Archi capitanata dal figlio di Don Paolo [DE STEFANO GIORGIO:No... poi che è successo... poi Carmine si è visto con Totuccio, si è incontrato... hanno parlato di questa situazione... no? eh... poi Totuccio si è visto con vostro fratello... con Gino... e gli ha detto ma... e... e gli ha chiesto se aveva visto a Carmine a mio fratello... lui gli ha detto...no! ...dice: "no... non l'ho visto.. ma... ma dice... io con Carmine non c'ho niente però non c'è motivo che ci vediamo... io sono per fatti miei"... MOLINETTI ALFONSO: Ah... non c'è niente e non c'è andato?!... DE STEFANO GIORGIO:Non gli devo dare conto a nessuno... se devo fare... quello che devo fare... quello che faccio non gli devo dare conto a nessuno.. a me non mi deve dire nessuno niente"... la situazione è ...ta... MOLINETTI ALFONSO:Ha preso le distanze...].

Gino Molinetti e i suoi figli, del resto, da qualche tempo stavano assumendo – più in generale – comportamenti pericolosamente spavaldi ed indicativi della volontà di sparigliare le carte nell'assetto della 'ndrangheta reggina. A mo' di esempio, i conversanti citavano la vicenda relativa all'apertura della pescheria nel quartiere Gebbione, notoriamente "governato" dalla cosca Labate. Gino e i suoi rampolli avevano autonomamente iniziato i lavori per l'apertura del nuovo esercizio commerciale e, solo dopo, avevano comunicato la cosa a Franco Labate, esponente apicale della 'ndrina del luogo. Avevano pertanto contravvenuto ad una regola essenziale dell'ortodossia ndranghetista, in forza della quale - in casi simili – la cosiddetta "imbasciata" deve essere inviata al capo cosca locale prima di intraprendere qualsivoglia concreta iniziativa. Si trattava di un comportamento che lasciava gli interlocutori allibiti ed amareggiati, per la sua allarmante irritualità [DE STEFANO GIORGIO: Quello è... ora si sono presi una pescheria là al Gebbione... MOLINETTI ALFONSO: Ah... l'hanno presa?... DE STEFANO GIORGIO: Hanno preso la pescheria, hanno iniziato i lavori e poi gli hanno mandato "mbasciata"... là a Franco... eh... stanno facendo cose... che non... mi diceva pure mio fratello...MOLINETTI ALFONSO: Sono comportamenti... sono comportamenti...]. Giorgio DE STEFANO era sinceramente preoccupato che tale modo di fare potesse pregiudicare il legame solidaristico che per tanti anni aveva accomunato le famiglie De Stefanp e Molinetti [DE STEFANO GIORGIO: Però è un peccato perché per... per l'affetto che c'è... la... lui dice: "no... io non c'ho niente"... però dice... MOLINETTI ALFONSO: Ma intanto... mio fratello non... non ha il mio di carattere... ha come tutti noi... ha pregi e difetti... ha dei pregi verso (...) però ha... ha comportamenti... ha comportamenti che io non...].

Giorgio De Stefano riferiva ad Alfonso Molinetti i contenuti della riflessione avuta con il fratello Carmine, riguardo al comportamento di Gino. Quest'ultimo, a loro dire ,a veva preso a pretesto l'avvicinamento che Carmine De Stefano aveva concesso ad alcuni giovani sodali della cosca (un tempo rivale) dei Condello.

Ne era derivata un'aggregazione di "nuove leve" della ndrangheta di Archi, che individuavano in Carmine De Stefano una sorta di "fratello maggiore" [DE STEFANO GIORGIO: Allora... io penso per la... per il ragionamento che ho potuto fare io... che ieri ragionavamo con Carmine... che però secondo me è stato un pretesto più che altro... ma non è che è la ragione reale...eh...Carmine quando è uscito... c'era parecchia confusione in giro... no?... questi dei Condello... dei ragazzi che sono...hanno trovato in lui un punto di riferimento... ma sempre nella cosa di... di vedere... di fare le cose in maniera che tutto funzioni per bene... che vada per bene... no? (...) MOLINETTI ALFONSO: Però bisogna un pochettino tornare indietro... perché hanno trovato un punto di riferimento e Carmine... ricambia...]. Il fatto che la spaccatura interna alla cosca iniziasse a diffondersi negli ambienti malavitosi, era considerato da Giorgio De Stefano di estrema gravità.

L'incontro in Campania, quindi, arriva all'apice delle frizioni. La tensione venutasi a creare preoccupava non poco i presenti. Il giovane De Stefano parla già da veterano e sottolinea come le spaccature tra i sodali – che iniziavano ad essere note nel sottobosco criminale reggino - avrebbero indebolito la cosca, facendola apparire più vulnerabile [DE STEFANO GIORGIO: Ora io (...) il problema tra le altre cose... è che io non mi posso fermare giù... perché io sarei andato anche io da.. da Gino... però... MOLINETTI ALFONSO: (...) tempo perso è... DE STEFANO GIORGIO: E' che dispiace... eh... eh... (...) invece di essere tutti... tutti in armonia e in... ma poi tra le altre cose il problema... anche perché poi la gente le sa le cose... si sanno... eh... non ci ha insegnato niente la storia... no?!].

Tra un boccone e l'altro, durante il pranzo offerto da Alfonso Molinetti, i commensali proseguono nella lunga conversazione. Costanti sono i riferimenti a Carmine De Stefano, menzionato dai conversanti, non solo per il suo ruolo di capo del sodalizio, ma anche per le sue abitudini quotidiane e per le attenzioni che riservava ai fratelli detenuti Giuseppe e Dimitri DE STEFANO [MOLINETTI ALFONSO: Pure Carmine... (...) cucinava... DE STEFANO GIORGIO: Carmine mio fratello? MOLINETTI ALFONSO: Eh...DE STEFANO GIORGIO:Si, si... e ora a Giuseppe ad esempio... e... a Dimitri gli cucina lui... quando gli facciamo i pacchi... MOLINETTI ALFONSO: Ah se la vede lui... bravo... Peppe invece no? DE STEFANO GIORGIO: No... come no... MOLINETTI ALFONSO: Prima, quando è stato nel periodo di galera con me, no...non cucinava... (...) DE STEFANO GIORGIO: Eh... è... è bravissimo... quando era latitante... si faceva...ma tutto fa...].

L'obiettivo di Giorgino è di sanare la questione. A fronte di tale prospettiva, auspicava che le controversie in atto potessero trovare buon fine anche in assenza dell'autorevole intervento prospettatogli dal suo interlocutore. Sottolineava, d'altronde,che il fratello Carmine era pronto a riconoscere anche un eventuale, quanto involontario, errore, pur di ricomporre la frattura con il riottoso sodale [MOLINETTI ALFONSO: Speriamo che non mi costringe mio fratello a scendere... a farmi scendere là sotto!... DE STEFANO GIORGIO: No... va boh... MOLINETTI ALFONSO: Perché così va a finire secondo me... qualche domenica quanto gli spunto là!... DE STEFANO GIORGIO: No... ma non è una cosa che... speriamo di... di risolvere prima... o che magari capita qua lui... mi diceva una volta... dice... a no perché... perché pure Carmine stesso dice... se uno ha fatto qualche trascuranza... se uno ha sbagliato... MOLINETTI ALFONSO: No... ma lui è così!... (...) DE STEFANO GIORGIO: Può capitare e uno lo dice... no?... MOLINETTI ALFONSO: Perché secondo la sua testa... può darsi che gli hanno fatto qualcosa... ma non lo dice... lui!].

Era tuttavia convinzione dei conversanti che Gino MOLINETTI cercasse solo l'occasione per emanciparsi dalla 'ndrina e creare un suo autonomo gruppo. Pretestuose apparivano le sue doglianze per il mancato interessamento da parte dei sodali destefaniani. dopo la notifica di un'informazione di garanzia nell'ambito delle indagini attinenti l'omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Sul punto Giorgio DE STEFANO sottolineava l'assurdità della pretesa avanzata d Gino MOLINETTI, atteso che anche il fratello Giuseppe era stato destinatario di notifica del medesimo provvedimento [DE STEFANO GIORGIO: Ma poi... ma lui diceva ad esempio... (...)mi è arrivato l'avviso di garanzia di... di Scopelliti là... dice... nessuno mi ha... ha chiesto... nessuno ha domandato... dice che c'entra... eh... pure a Peppe gli è arrivato l'avviso di garanzia... che vuol dire?!!... cioè sono cose che... sono pretesti va! MOLINETTI ALFONSO: Bravo! DE STEFANO GIORGIO: Eh... MOLINETTI ALFONSO: Infatti...]:

Giorgio DE STEFANO era ancora fiducioso di poter appianare le divergenze e riconquistare l'agognata coesione.

A tal fine sottolineava di avere più volte proposto ai figli di Gino Molinetti (Salvatore Giuseppe cl. 89 e Alfonso cl. 95) di seguirlo a Milano e dedicarsi, con lui, alla gestione degli affari che la cosca aveva proficuamente avviato tanto in Lombardia che in alcuni paesi stranieri [DE STEFANO GIORGIO: Anche ai suoi figli... io gliel'ho detto mille volte a Peppe... ed Alfonso pure... gli ho detto... venitevene lì sopra... MOLINETTI ALFONSO: No... hanno un'altra... DE STEFANO GIORGIO: Cioè... mi date pure una mano...(...) Io uno sono!... però abbiamo un sacco di cose da fare!... uno si cura... eh... un paese all'estero... uno si... si... si cura i rapporti con altri cristiani... cioè possiamo... potevamo fare un sacco di cose va!]:

Nonostante l'assenza del capo del sodalizio, il summit si avviava alla conclusione in modo propizio, avendo Giorgio De Stefano incassato la solidarietà di Alfonso Molinetti e del figlio Giuseppe

Prima di congedarsi, i due affrontano in ulteriori dialoghi molto indicativi delle dinamiche di 'ndrangheta.

L'anziano sodale ammoniva il giovane delfino dei DE STEFANO alla massima cautela, sollecitandolo – tra le righe – ad una minore ostentazione dei propri beni e ad uno stile di vita meno appariscente [MOLINETTI ALFONSO: E com'è... a Milano mi hanno detto... che stai bene... per dove... sei andato? te ne vai in vacanza? (...) Eh... devi stare attento... Giorgio... DE STEFANO GIORGIO: Eh MOLINETTI ALFONSO: (...)devi stare solo attento... la visibilità... meno ce n'è... meglio è...].

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Si trattava di un monito tutt'altro che casuale, non sfuggendo all'esperto Molinetti che il risalto mediatico delle frequentazioni e delle relazioni coltivate da De Stefano nel capoluogo lombardo, mal si conciliava con l'approccio ben più riservato che di regola si addice agli esponenti apicali della 'ndrangheta. Giorgino, infatti, è fidanzato da oltre un anno con Silvia Provvedi, che in un famoso reality ("Il Grande Fratello Vip") trasmesso nell'autunno del 2018, lo ha sempre indicato con il soprannome di "Malefix"; Silvia e la gemella Giulia costituiscono il duo "Le Donatellas" presenziando a vari reality, spettacoli e, grazie alla notorietà che da ciò loro deriva, partecipando a serate su tutto il territorio nazionale; in ragione della frequentazione con la giovane Silvia, già ex del noto Fabrizio Corona a partire dal dicembre 2018, ossia al termine del reality, la c.d. "stampa rosa" ha parlato di De Stefano definendolo "famoso imprenditore calabrese che viene da una importante famiglia, si divide fra la Calabria, Milano ed Ibiza ed è tra i soci proprietari del Ristorante Oro di Milano"; per le medesime ragioni sovente, presso l'abitazione dei due è assaltata dai paparazzi. Giorgio De Stefano rassicurava, tuttavia, l'apprensivo sodale. Egli infatti si diceva sicuro del fatto suo, tranquillizzandolo sulla propria capacità di attivare – alla bisogna – gli strumenti necessari a distogliere l'attenzione degli inquirenti ed eludere le temute investigazioni.

"Giorgino" infatti: nei momenti di maggiore "fibrillazione" investigativa e quindi di più elevato rischio giudiziario, preferiva dimorare all'estero, pur non recidendo totalmente i suoi legami con gli interessi gestiti in Lombardia.

In particolare, dopo l'arresto del fratello Dimitri De Stefano e dello zio Orazio De Stefano, si era a lungo trasferito in Spagna, essendo evidentemente consapevole di essere – egli stesso – passibile di provvedimenti analoghi a quelli che avevano colpito i congiunti [DE STEFANO GIORGIO: Perché di solito io... adesso... son stato quattro anni fuori dall'Italia... MOLINETTI ALFONSO: Ah...dall'Italia eri fuori... DE STEFANO GIORGIO: Si... e si... no... quando è stato il fatto pure di Dimitri...hanno arrestato a Dimitri e gli hanno fatto l'operazione... a mio zio..me ne sono andato io... MOLINETTI ALFONSO: Te ne sei andato... DE STEFANO GIORGIO: Sono stato fuori... e veni... facevo... venivo sempre... con la macchina scendevo per... da fuori... stavo una settimana e poi ripartivo di nuovo... e stavo in Spagna no?... pure... in estate stavo a Ibiza...]; ogni qual volta si recava a Reggio Calabria, utilizzava stringenti escamotage per non lasciare traccia dei suoi spostamenti.

Egli infatti, unitamente a Randisi, aveva l'abitudine di partire in treno da Milano e di fare sosta a Roma o a Napoli, per poi ripartire in automobile, avendo cura di non portare con sé gli apparecchi telefonici.

Ciò, ovviamente, al fine di eludere il monitoraggio degli inquirenti e di non far emergere la loro presenza in territorio calabro [DE STEFANO GIORGIO: È un casino, perché per scendere in modo... che...che non lo sanno... questi... riservando a noi della legge... e cose... eh... bisogna fare ogni volta un manicomio... dobbiamo arrivare a Roma o a Napoli... lasci i telefoni... prendi la macchina...(...) Perché con me non è che sono... stanno cercando in tutti i modi... di... MOLINETTI ALFONSO: Eh... devi stare attento... Giorgio...]

Le cautele adottate non corso degli anni, avevano consentito a Giorgio De Stefano ed altri sodali di farla sempre franca, nonostante le indagini avviate sul loro conto [DE STEFANO GIORGIO: Ma è sempre stato così... MOLINETTI ALFONSO: Uh... DE STEFANO GIORGIO: Da quando è.... che ho venti anni... eh... MOLINETTI ALFONSO: La tua vita è stata dura..].

Giorgino aveva appreso, da un'amica ben introdotta in ambienti giudiziari, che in più circostanze il suo nome era comparso in atti di indagine, senza che – tuttavia – la magistratura riuscisse a provare la sua colpevolezza. Gli inquirenti, infatti, non erano giunti all'individuazione dei necessari riscontri per contestare a suo carico accuse sostenibili. Giorgio De Stefano sottolineava di essere uscito indenne anche dopo l'arresto del fratello latitante Giuseppe. In quella circostanza non erano stati incriminati i favoreggiatori, a differenza di quanto accaduto in occasione dell'arresto degli altri latitanti inseriti nella lista – redatta dal Ministero dell'interno - dei trenta più pericolosi ricercati.

I due interlocutori, con un certo compiacimento, affermavano che gli investigatori non erano stati in grado di acquisire le prove, che avrebbero cristallizzato l'effettiva responsabilità dello stesso Giorgino e degli altri fiancheggiatori del latitante [DE STEFANO GIORGIO: Ma è.... loro eh... c'è stata una amica... due volte pure hanno... gli avevano fatto la richiesta per il mandato e cose... però non... MOLINETTI ALFONSO: Perché non c'era niente... DE STEFANO GIORGIO: Perché mi muovo pure... MOLINETTI ALFONSO: Si... si... non hanno... non hanno niente... un riscontro... una cosa... DE STEFANO GIORGIO: Pensate... che di... di coso... di... di Peppe... è stato l'unico che non hanno fatto l'associazione per il favoreggiamento... MOLINETTI ALFONSO: Di quando l'hanno arrestato là... DE STEFANO GIORGIO: Di tutti quelli dei trenta... che hanno preso... MOLINETTI ALFONSO: A tutti... DE STEFANO GIORGIO: A tutti gli hanno fatto il favoreggiamento... a Peppe no... MOLINETTI ALFONSO: Quindi non hanno capito niente...].

Giorgio De Stefano, però, non riteneva opportuna la permanenza a Reggio Calabria degli esponenti apicali della cosca. Egli auspicava, piuttosto, il loro allontanamento dal territorio calabrese, ferma la possibilità di gestire a distanza gli interessi del sodalizio. Si augurava, in particolare, che il fratello Carmine De Stefano, in caso di autorizzazione da parte del Tribunale Misure di Prevenzione, si trasferisse in altra regione. Analogamente l'altro fratello Giuseppe De Stefano, non appena avesse ottenuto l'agognata scarcerazione, doveva - a suo parere - stare alla larga dalla città di origine: sapeva infatti che, in caso contrario, i controlli degli inquirenti sarebbero stati così intensi e penetranti da ricondurlo in carcere nel volgere di pochi mesi [DE STEFANO GIORGIO: No però... però io... anche adesso... ora... se vuole Dio ad ottobre gli discutono la sorveglianza a Carmine... (...) Se ne deve andare... dobbiamo gestire le cose in maniera diversa... gliel'ho detto... (...) Quello è... quello è.... però ad esempio Peppe no... se esce Peppe... lui non deve nemmeno passare per Reggio... deve andare a farsi notificare la sorveglianza da un'altra parte... perché sennò dura due mesi... eh... MOLINETTI ALFONSO: Perché vanno a trovare le persone... cioè... DE STEFANO GIORGIO: Non risolviamo niente... MOLINETTI ALFONSO: Non si risolve... no... è vero... è vero... no... sono d'accordo con te... però c'è un...].

La linea strategica prospettata da Giorgio De Stefano non trovava, tuttavia, piena assonanza con le valutazioni di Alfonso Molinetti, il quale, legato ai vecchi retaggi della 'ndrangheta, considerava indispensabile il mantenimento di una figura prestigiosa e carismatica nel cuore del territorio reggino, allo scopo di amministrare direttamente e in loco gli affari della cosca, facendo valere il potere intimidatorio e l'autorevolezza evocati dal nome della storica 'ndrina.

Il rampollo della famiglia De Stefano faceva comunque presente che allontanarsi da Reggio non sarebbe equivalso a "mollare" il controllo del territorio: era infatti sufficiente (così come lo stesso Giorgino era solito fare) ritornare di tanto in tanto clandestinamente nel territorio di influenza, per risolvere le questioni più problematiche, delegando le altre incombenze a persone di fiducia [MOLINETTI ALFONSO: Eh... però sai che, che è... in un luogo molla uno?!... e non vuole mollare... DE STEFANO GIORGIO: No... non è che uno molla... MOLINETTI ALFONSO: Perché se non sei presente là... se non c'è la tua figura là... il tuo nome... il tuo... la tua storia... DE STEFANO GIORGIO: Ma uno scende là... MOLINETTI ALFONSO: Ognuno... DE STEFANO GIORGIO: Uno scende come faccio io... MOLINETTI ALFONSO: Però è un pa... un paese maledetto... credimi! ... DE STEFANO GIORGIO: Eh... lo so... però se continuiamo così... MOLINETTI ALFONSO: Reggio è maledetta vedi... devi stare attento... uno deve stare attento... perché l'esperienza ci insegna... che per niente ci fanno fare trenta anni di galera... DE STEFANO GIORGIO: Ma se siete fuori voi... se siete... se c'è fuori mio fratello... MOLINETTI ALFONSO: Si... DE STEFANO GIORGIO: E sta da una parte... dove non siete lì... MOLINETTI ALFONSO: Eh... eh... eh... c'è chi... chi lì per noi... DE STEFANO GIORGIO: Una parola... facciamo noi i chilometri... la notte scendiamo... facciamo quello che dobbiamo fare e torniamo... se andiamo avanti così... non c'è... è il cane che si morde la coda... (...) MOLINETTI ALFONSO: Si deve avvalere... si deve avvalere di persone di fiducia... che... quantomeno che...].